Lavoro e società, dalla parte dei giovani
di Francesco Ognibene
La deformazione di un sistema che induce consumi e frustrazioni nell’era del precariato e le esperienze alternative
Firenze 2015 uguale novità. È una delle poche certezze di questa vigilia di Convegno ecclesiale: dovunque si sente affiorare la domanda di un’aria nuova in linguaggi, stili e decisioni, creando un’attesa che non potrà restare inascoltata. Esemplare la seconda parte del Laboratorio di ieri a Milano: per introdurre un tema come «lavoro e società» si è fatto ricorso – con successo – al teatro, con due monologhi sull’angosciosa condizione del precariato più un dialogo («Il turno» di Italo Calvino) sul lavoro che snatura i legami, recitati da Arianna Scommegna, Gabriele Paoloca e Mattia Fabris. Insieme al video della Pastorale sociale di Padova sui sogni giovanili umiliati da un mercato che chiede sottomissione e silenzio, e con le parole introduttive del vescovo ausiliare di Milano Paolo Martinelli sul lavoro secondo san Francesco, spianano la strada al serrato dialogo tra Chiara Giaccardi, studiosa di culture mediali all’Università Cattolica e componente della Giunta per il Convegno ecclesiale, il responsabile per la pastorale del lavoro di Milano don Walter Magnoni e il filosofo Silvano Petrosino. Che prende sul serio il clima da “parliamoci chiaro” e punta dritto sullo «sfruttamento» dei giovani in una società nella quale «si produce in eccesso e non si riesce a consumare abbastanza». Così che siamo invitati ad «aumentare i consumi per aiutare l’economia: ma è come dire che per dare una mano ai bilanci delle case farmaceutiche bisogna ammalarsi di più…». I ragazzi sono le prime vittime di questo «consumo senza reddito» per soddisfare «bisogni indotti». E quando non riescono a trovare un impiego decente «gli si fa credere che sono falliti – si accende Petrosino – quando non hanno alcuna colpa. Oggi gli si chiede di camminare sull’acqua».
Il filosofo, che insegna alla Cattolica, propone intanto di «imparare a distinguere tra professione e lavoro: a mancare ai giovani è la prima, il secondo è un concetto denso e non univoco. Un sistema tecnologico nichilista come quello attuale fa coincidere un percorso che non porti a primeggiare con un disastro del quale vergognarsi: invece i giovani devono sapere che non bisogna essere i migliori, ma semplicemente migliori». Antidoti tangibili alla mentalità efficientista sono le esperienze che sfilano al Laboratorio: Carlo De Gasperis, giovane imprenditore agrituristico delle valli lecchesi; Jacopo Tondelli, giornalista milanese “riconvertito” ai linguaggi digitali; e soprattutto la cooperativa agricola «I tesori della terra», dalla diocesi di Cuneo, che col suo fondatore Dario Manassero mostra come far crescere insieme inclusione degli “scartati” e profitto d’impresa. «Chi va a Firenze non può prescindere dalla conoscenza del numero 22 della Gaudium et spes», là dove il Concilio ricorda che «solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo»: lo suggerisce monsignor Fabiano Longoni, responsabile Cei della pastorale del lavoro, perché non si dimentichi che «la persona umana cui ci rivolgiamo non è astratta ma storica: è ciascun uomo».
da Avvenire, 2 ottobre 2015